Ci penso ogni volta che l’auto corre sulla Padana Inferiore, da un lato le colline con i colori che mutano secondo la stagione, dall’altro capannoni, hard discount, sushi all you can eat, domenica aperto. Sembra di viaggiare sulla faglia del mondo moderno che, in nome del commercio e della comodità, ha dato la Bellezza del Paese in sposa al Brutto. Lo penso ogni volta, in rigoroso silenzio: certe cose non si dicono, sono noiose, intristiscono.
Poi un giorno, sempre correndo lungo quella direttrice ma su un treno veloce, mi trovo tra le mani un breve saggio che infrange la regola del silenzio e in un’ottantina di pagine non solo sciorina il campionario del Brutto, ma denuncia la nostra assuefazione. Come quando incontri qualcuno che ha la tua stessa passione per una cosa insolita, tipo gli insetti o le pecore, e ti scopri d’un tratto meno solo, così mi sono esaltata pensando che magari l’autore e io non siamo gli unici a voler rompere il silenzio...
Perciò eccomi a esporvi la teoria: a dispetto del continuo scrivere sui social che la Bellezza salverà il mondo, io penso che il Brutto sia diventato così diffuso, scontato e accettato da allontanarci dal nostro bisogno profondo, che invece è di composizioni armoniose, dettagli curati, ambienti puliti, geometria, ordine, decoro. Un bisogno che non riguarda solo gli interni delle case, ma le città, gli hinterland e tutto il mondo ‘pubblico’ che abitiamo. Lo pensavo davanti ai quadri di Botticelli in una visita agli Uffizi, dove lo sguardo di centinaia di visitatori diceva in modo inequivocabile che il Bello ci nutre e senza di esso soffriamo.
E mentre l’autore del libro, sconosciuta anima gemella, scrive che è solo questione di tempo e anche la scienza riconoscerà che il Brutto ci fa ammalare, ripercorro l’inquinamento estetico in cui vivo: cartelli stradali ripetuti e ridondanti, cartelloni pubblicitari, insegne, transenne, rifiuti per terra (brutto&sporco diventano subito compagni inseparabili); ma anche dehors di locali tra sedie di plastica e ombrelloni brandizzati, e gli spazi visibili delle case: i rampicanti di plastica sulle cancellate, le caldaie e i bidoni della differenziata a vista nei giardini, le biciclette sui balconi coperte da un telo nero...
Il brutto è banale, dice il libro a partire dal titolo, e le 10 soluzioni che propone riempiono a stento due pagine, ma sono da annotare. Come il punto 3: “Agire. Spostare. Raccogliere. Pulire” o il 9: “Inventate soluzioni che non prevedano nulla se non il coinvolgimento delle persone” o il 5: “parlate (del brutto e delle possibili soluzioni) con i vicini, con gli amici o con chi volete”. Io sono partita da voi, e a voi lascio la parola...
Francesca [Il Direttore]