Architetti & Designer

Architetti & Designer: Marco Piva

È un archistar, conosciuto per i progetti di avveniristici edifici. Qui ne ripercorriamo il lavoro di product designer, partendo da una collezione disegnata oltre 40 anni fa!

È un archistar, conosciuto per i progetti di avveniristici edifici. Qui ne ripercorriamo il lavoro di product designer, partendo da una collezione disegnata oltre 40 anni fa!

Dal 1990 il suo Studio, attivo in tutto il mondo, progetta hotel, raffinati edifici abitativi e commerciali, luoghi pubblici, case di pregio. E prodotti per i migliori brand. Ma la storia ha inizio prima, negli Anni ’80...

Per ripercorrere la sua storia come designer siamo partiti da lontano, dal 1982... Rivedendo il suo progetto dei Mobili in Colore che cosa le torna alla mente?

Ricordare il 1982 è per me una grande emozione: è come tornare all’inizio di un bellissimo e avventuroso percorso di ricerca, di sperimentazione e di generazione di idee, di eventi e di produzioni libere da vincoli di carattere funzionali e formali che avevano fortemente caratterizzato il mondo del Design prima dell’avvento del fenomeno 'Radical Design'.

Erano gli anni di Studiodada, lo Studio fondato da lei assieme ad altri cinque giovani architetti, ma anche del Gruppo Memphis di Sottsass e di altre esperienze di lavoro collettivo...

Erano i tempi di Memphis, di Alchimia, di Superstudio, di Archizoom, e Studiodada era il nostro contenitore di ricerca, un team di architetti e designers che tentavano nuove strade concettuali e formali. Abbiamo giocato con i materiali, con i colori, con le forme, con la possibilità di interazione tra prodotto e utente, caricando gli oggetti di una loro 'anima', di una loro capacità di emozionare. La Mostra “L’interno dopo la forma dell’utile” organizzata da Alessandro Mendini presso la Triennale di Milano costituì per Studiodada una pietra miliare sulla via di un vasto e complesso processo rigenerativo del nostro 'fare design' con la collezione Mobili, Ceramiche e Tessuti in Colore con Brunati, Ceramica Gabbianelli e tessuti Marcato.

Cosa è rimasto oggi del Radical design?

Del Radical Design oggi rimane l’esempio di una trasgressione 'propositiva', un’azione di revisione di elementi consolidati dalla confortante consuetudine di uno 'stile' generalmente condiviso a favore di nuove avventure concettuali. Nel mio lavoro di ogni giorno, ad ogni scala di progetto, ho mantenuto vivo quello spirito critico che mi consente di indagare a fondo le ragioni e le modalità di sviluppo di ogni singolo progetto... 'Dal cucchiaio alla città' come diceva Ernesto Nathan Rogers.

Da studente, quali erano i suoi punti di riferimento nel mondo dell'Architettura?

Da studente ho avuto la fortuna di incontrare i padri del Design italiano, Ponti (me lo presentò mio padre quando ero ancora un bambino) Magistretti, Castiglioni, Zanuso, Albini e la grande Franca Helg, Paolo Portoghesi, Gregotti. Personaggi diversi per idee, produzioni e cultura del progetto.

Nei suoi corsi universitari al Politecnico e in altre università di tutto il mondo, che consigli dà agli studenti?

Quando in Facoltà partecipai all’ introduzione al Corso di Architettura fu per me un momento fantastico. Alberto Rosselli, genero di Ponti e grande architetto, ci disse: “Guardatevi attorno e ricordate che solo il 4% di voi riuscirà a fare la professione di architetto”: puro terrore, ma anche una grande e appassionante sfida. Ai miei studenti, ovunque nel mondo, dico che devono scoprire il tesoro che custodiscono dentro di loro e che non deve essere necessariamente la creatività compositiva, ma che può essere invece una delle molte altre attitudini sempre più strategiche nel contesto del Design contemporaneo, quali ad esempio la capacità di gestire, coordinare, comunicare e pianificare il progetto. Oggi la scuola deve preparare gli studenti ad affrontare un mondo in cui la complessità è data non solo dai contenuti formali e tecnici di un progetto ma anche dagli aspetti economici, sociali ed etici legati allo sviluppo del processo dal concetto alla sua realizzazione.

Lei è conosciuto in tutto il mondo anche per i suoi progetti di urban design e per gli avveniristici edifici progettati in Cina e non solo. È d'accordo con Jean Prouvé che diceva che 'non c'è differenza tra la costruzione di un mobile e quella di un immobile'?

Sono d’accordo con Jean Prouvé per quanto attiene ai processi costruttivi, ogni area progettuale ha i suoi sistemi costruttivi e questi sono sovente tra loro coerenti. Per quanto riguarda gli aspetti concettuali invece trovo vi siano più similitudini nella definizione di sintesi di una forma architettonica e della forma di un oggetto d’uso differentemente da quanto avviene per l’architettura degli Interni, degli elementi di arredo o dei sistemi di gestione tecnologica degli spazi che richiedono un lavoro molto più dettagliato, articolato e multidisciplinare già dai primi momenti di sviluppo del progetto.

Quando la definiscono 'archistar' cosa pensa?

Quando mi sento chiamare archistar considero la cosa in modo propositivo e stimolante e mi dico che devo impegnarmi sempre di più, ogni giorno, attraverso il mio lavoro, la mia dedizione e creatività.

Come architetto, crede che l'essere italiano sia un valore aggiunto quando si confronta con committenti stranieri, o quello dell'architettura oggi è un mondo globalizzato in cui il background e le origini passano in secondo piano?

Essere architetto italiano nel mondo è un valore unico. Anche se con alcune carenze, le nostre Università e i nostri Politecnici hanno generato e tuttora generano professionisti di alto livello dotati della capacità di passare da una scala di progetto all’altra in una continuità concettuale e di governo del processo che altri non hanno. Molte volte i miei Clienti esteri si sono sorpresi della nostra capacità di governo del processo progettuale dal Masterplan all’architettura fino all’Interior Design con la piena capacità di dialogo con gli investitori, gli sviluppatori, gli ingegneri civili e impiantistici, con le Commissioni del Paesaggio, con le Sovrintendenze e con gli specialisti del Marketing.

Un altro campo in cui il suo Studio è molto attivo è quello della progettazione per l'hospitality (tra gli ultimi lavori c'è la riqualificazione di Palazzo Cordusio, a Milano, trasformato in un Hotel Melià a 5 stelle, ma ricordiamo anche la ristrutturazione e l'ampliamento dell'Hotel Gallia, sempre a Milano). Quanto è importante oggi questo settore?

L’attività del mio Studio nell’area tematica legata al turismo e all’ospitalità è continuativa ed intensa. È il territorio di progetto che mi affascina e attrae particolarmente perché sono un viaggiatore nato, sono attratto dall’idea del viaggio, della scoperta dei luoghi e delle diverse culture, dei territori e dei paesaggi. Gli alberghi oggi sono, nella mia concezione, 'apparati abitativi polifunzionali', sono luoghi speciali dove le culture di chi ospita e di chi viene ospitato vengono a contatto e possono così creare nuove sinergie, contaminazioni, idee: l’hotel è a mio parere sia in Italia che all’estero un hot-spot culturale privilegiato in qualsiasi luogo esso venga collocato.

C'è ancora qualcosa che non ha progettato e su cui le piacerebbe lavorare?

Mi dovrò confrontare presto con un tema che non avevo ancora affrontato: un luogo di culto, una chiesa. Ma a livello di ricerca sto lavorando ad un modello di stazione lunare permanente. Un complesso polifunzionale “off world”! Chissà…!.

Inventiamo una nuova realtà, saremo protagonisti del nostro oggi, per costruire un domani di meraviglia e stupore da regalare a chi verrà dopo di noi.

1982 - Coll. Mobili in Colore [Brunati]

2010 - Libreria Brera [Altreforme]

2017 - Tappeto coll. Cave [Sahrai]

2018 - Lavabo Tao [Kreoo]

2019 - Credenza Fire [Riva1920]

2019 - Lampada Gravity [Italamp]

2021-22 - Calorifero Parenthesis [Caleido]

2022 - Poltrona Nido [Rever]

2023 - Tavolo Alexander [Horm]

2023 - Vasi Bloom [Venini]

2024 - Sedie Aurelia [BBB Italia]

Testi

Claudio Malaguti