Ilaria sta lavorando nella sua casa studio, al quarto piano di un condominio di ringhiera nel cuore di Milano. La porta d'ingresso e la finestra della camera da letto sono aperte e l'aria che attraversa l'appartamento lascia svolazzare i fogli di carta coloratissimi posati qua e là sugli arredi.
Ho intervistato Ilaria, e nel mentre, il vecchio cassetto viene trasformato nella facciata di un surreale condominio.
Oltre al collage quali sono le tecniche che hai sperimentato?
Il collage è un elemento costante nel mio lavoro, ma spesso convive con altre tecniche, specialmente con le chine colorate e i gessetti. Ho sperimentato anche alcune tecniche di stampa e in particolare la monotipia, con cui ho realizzato le illustrazioni per Il sogno di Hokusai, e che mi piacerebbe esplorare un po’ più a fondo.
Cosa ti dà di più il collage rispetto alle altre tecniche?
Credo di aver scelto di usare il collage perché mi permette di cambiare idea continuamente, ribaltare la composizione degli elementi sulla pagina per trovare il giusto equilibrio prima di incollare la carta sul foglio e fissare il disegno nella sua versione finale. È una tecnica versatile che si può utilizzare in vari modi, mi piace sia disegnare strappando la carta che ritagliare dettagli molto minuziosi per costruire illustrazioni più complesse e a più strati.
Quali sono le tue fonti di ispirazione e i 'mondi artistici e non' che esplori alla ricerca di idee?
Il più delle volte le idee nascono quando meno te le aspetti e non le stai cercando. Spazio molto in ambiti trasversali e spesso trovo stimoli non solo nelle arti visive e nel design, ma anche nel mondo del teatro e del circo. I libri sono una fonte inesauribile di scoperte casuali e nuovi spunti, anche se ci sono alcuni autori di riferimento a cui torno spesso: Borges, Calvino, Scialoja, Sottsass, Rodari, Munari (lista incompleta e in ordine casuale).
Un’altra esperienza che per me è fondamentale e che mi arricchisce sempre di nuove idee sono i laboratori creativi per bambini, un’occasione per giocare con la fantasia in cui si arriva a dei risultati imprevedibili.
Ferramenta e colorifici sono dei posti dove trascorro molto tempo, mi piace osservare i diversi materiali e spesso sono proprio degli oggetti concreti, dei colori o delle carte particolari a darmi degli spunti per realizzare nuove idee.
Raccontami del tuo processo creativo. Qual è il punto di partenza?
Dipende molto dal progetto, ognuno ha una propria storia. Alcune volte mi è capitato di usare come punto di partenza l’oggetto-libro in sé, sfruttare le sue caratteristiche strutturali per innescare una storia per immagini. Altre volte sono partita da un’idea semplice (per esempio il cammino di una coccinella) esplorandola e sviluppandola nella forma di racconto. Quando si tratta di progetti su commissione su argomenti specifici, parto dalla ricerca e dall’approfondimento per trovare uno spunto per riuscire a costruire una storia.
Quale è il lavoro al quale sei più legata e per quale ragioni?
Sono molto affezionata a Sur le fil, il primo libro che ho pubblicato. È una storia senza parole e senza fine, in cui un filo passa di pagina in pagina trasformandosi continuamente a seconda di quello che incontra, e in cui si intrecciano molte suggestioni da diversi ambiti, da Philippe Petit al Barone rampante di Italo Calvino, al lavoro di Bruno Munari.
C'è un lavoro che sogni ma che non hai ancora realizzato?
Ne ho un elenco infinito, credo di potermi dichiarare sapodista a tutti gli effetti. Al momento però in cima alla lista c’è l’idea di sviluppare un progetto che coinvolga i richiedenti asilo e in cui l’arte diventi occasione di incontro e di scambio tra le persone. Un primo esperimento è stato fatto la scorsa estate durante lo Sponz Fest di Vinicio Capossela, durante il quale ho collaborato con i ragazzi ospiti di un centro Sprar, che sono stati protagonisti di alcune azioni artistiche nei paesi del festival. A partire da quella esperienza vorrei realizzare un racconto illustrato e proporre l’iniziativa in altre situazioni e contesti.
Nella tua casa piccoli teatrini surreali convivono con richiami al Giappone, due mondi opposti che sembrano amabilmente convivere anche nella tua persona. Dico bene?
Con il Giappone ho uno strano legame: pur non essendoci mai stata e conoscendone pochissimo le tradizioni, sono molto affascinata dalla sua cultura e dalla sua estetica. Nel campo dell’editoria per l’infanzia un mio “guru” è proprio giapponese, Katsumi Komagata, grandissimo grafico e autore di progetti capaci di trasmettere con grande semplicità un senso di sorpresa e meraviglia anche ai lettori più piccoli.
Mi piace molto questa ricerca di leggerezza che a volte, in effetti, prende una piega surreale nel mio lavoro (e nella vita).
In quale ambiente della casa preferisci lavorare?
La mia casa è a metà tra Milano e Bormio, in Valtellina. A Milano prediligo la cucina, un ambiente molto luminoso con un grande tavolo che posso invadere con tutti i miei ritagli (anche se in vista delle consegne lavorative i confini si allargano fino al divano, al letto e tutto il resto della casa).
A Bormio invece lavoro in un piccolo laboratorio che ho costruito un po’ alla volta nel corso degli anni, con alcuni mobili rustici e altri costruiti da me con materiali di recupero.
Durante la chiacchierata, Ilaria fa animare il vecchio cassetto con piccoli collage di fogli di giornale, carte regalo e cartoncini colorati. Le sono stati necessari solo righello, forbici, colla per carta e naturalmente ritagli di carta. Quindi se vi capita di trovare un vecchio cassetto o una scatola a scomparti, non buttatela via, definite un tema o un mood e con pochi mezzi create una divertente bacheca decorativa.