C'è un pezzo della sua camera di cui mia figlia non si stancherà mai: il tappeto a righe. Lo comprai all’Ikea sette giorni prima che lei nascesse, accompagnata da quell’energia cosmica che hai quando prepari il nido. Ci andai da sola, pagai alla cassa per donne incinte e non so come riuscii a portare dentro casa quel tappeto su cui mia figlia avrebbe passato l’infanzia.
Il tappeto a righe è diventato barca, automobile, carovana di gite con il fratello e le bambole; è stato palestra, campo di biglie, teatro di lotte fra Barbie e dinosauri, e per molti anni ha assolto anche la funzione di scrivania. Non che mancasse un angolo studio: solo che lei non lo usava. In terza media ancora la supplicavo di non fare i compiti rannicchiata a terra. Niente. Il Barone Rampante viveva sugli alberi, mia figlia viveva sul tappeto.
Non ricordo il giorno in cui si è decisa ad assumere la postura dell’homo sapiens alla scrivania, ma so che in quel momento ha tagliato uno dei fili magici che la legavano all’infanzia (e un po’ mi è dispiaciuto). Ma quel bisogno di dare al suo mondo i confini rassicuranti di un tappeto, se lo porta ancora dentro...
La Cameretta è il luogo in cui, se li lasciamo fare, i bambini raccontano qualcosa di profondo di sé. Ognuno di noi ricorda un angolo o un oggetto della stanza di quand’era piccolo. Io avevo una seggiolina gialla che molti anni dopo ho ritrovato esposta in Triennale: ho scoperto che era un progetto avveniristico di Richard Sapper e Marco Zanuso per Kartell. La adoravo: pur essendo inequivocabilmente una sedia, per me era anche astronave, scivolo, capanna... Un oggetto, un mondo, come il tappeto di mia figlia.
Sull’onda di questi pensieri è nato lo Speciale Spazi Junior: parliamo di camerette che sanno esserci e al tempo stesso ‘sparire’, perché protagoniste siano le fantasie dei bambini. Quelle che danno forma all’infanzia e poi ci restano dentro per sempre. Ne ricordo una, un regalo ricevuto da piccola: un foglio su cui mia madre aveva disegnato i tasti dell’ascensore. Me lo fece trovare appeso nella nicchia dove mi vedeva entrare e pigiare il dito sul muro, fingendo di salire al quinto piano...
Francesca Magni, direttore
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