Ogni tanto mi chiedo come sia possibile che io ami così tanto, e in modo così incrollabile, il tema dell’arredamento. Una parola che suona pure un po’ vecchia – oggi è più cool parlare di interior design – ma che non ha sinonimi. Se un alieno mi chiedesse “Cosa vuol dire arredare?”, non saprei dirlo in due parole. L’inglese ‘furnish’ si riferisce solo al gesto di fornire qualcosa, come il francese, che usa ‘meubler’, ammobiliare, riempire di mobili. Ma il dizionario etimologico italiano, uno scrigno da cui saltano sempre fuori piccole cose illuminanti, riconduce Arredare alla radice gotica (ga)-redan: aver cura, provvedere, disporre. E sì, è di questo che parlerei all’alieno, portandolo nella mia prima stanza fuori casa.
Era alta quasi 5 metri, dipinsi le pareti fino a tre quarti, con una striscia di nastro adesivo nel punto massimo che riuscivo a raggiungere con la scala: non l’avevo conquistata completamente ma avevo fatto tutto ciò che era in mio potere, e tanto bastava a sentirmi soddisfatta. Scelsi un colore oggi di moda, una specie di Peach Fuzz ottenuto versando pigmento giallo e rosso in un barattolo bianco. Amai quella stanza (nonostante fosse gelida!) perché era il primo pezzetto di mondo che avevo addomesticato. Averla colorata da me, aver disposto – girandoli in tutte le combinazioni possibili – il letto, la scrivania e una piccola libreria, mi dava una sensazione di conquista; il colore rendeva l’ambiente accogliente, che è ciò che cerchiamo quando ci spingiamo in terreni sconosciuti.
Arredare è un gesto di ‘dominio’ gentile, è un modo per dare accoglienza a noi stessi, è un atto creativo e terapeutico: “Se non puoi uscire dal tunnel arredalo” dice una memorabile (e saggia) battuta di Geppi Cucciari. Arredare è qualcosa da insegnare ai figli ben prima che escano di casa. Dare un significato allo spazio attraverso i mobili, perché ci consentano di fare cose bellissime: mangiare, dormire, ospitare, riposare, ascoltare musica, giocare, riordinare, prenderci cura gli uni degli altri. In certi paesi d’Italia ancora adesso una sedia fuori dall’uscio è segno di incontro. Arredare è un gesto di connessione, i mobili uniscono le persone. Credo che mi piaccia tanto per questo. Arredare in fondo è un modo di Amare.
Francesca Magni [Direttore]