Mi incuriosisce molto il fatto che nella consuetudine del comunicare ci siano alcuni nomi di colori che non hanno molto a che vedere con il loro riferimento nella realtà.
Prendiamo per esempio il giallo acido che solitamente chiamiamo ‘lime’. Quando parliamo di un tessuto o di un oggetto lime alludiamo a un colore ben lontano dal verde brillante del limone tropicale che siamo abituati a usare se prepariamo un mojito. Anche il color ‘mauve’, parola francese che indica per noi un colore molto raffinato, un marrone chiaro scaldato da una punta di viola, molto polveroso, non ha secondo me un grande riscontro con il fiore della malva.
Il nostro sguardo sui colori si nutre di arbitrarietà, un po’ come quello delle parole nella poesia: non contano le regole, l’aderenza alla realtà, ma vince su tutto la capacità di emozionare. L’arbitrarietà si spinge oltre questo, infatti ognuno di noi ha una personale percezione del colore e, in generale, della bellezza.
Sto pensando a Lorenzo Cherubini quando canta “Guarda quel fiore finto sembra vero, ho detto. Guarda quel fiore vero sembra finto, ho detto”. Quindi? Non esistono regole oggettive sulle nostre percezioni. L’unica cosa da ricercare è l’armonia degli accostamenti!
Vi dico alcuni dei miei matrimoni preferiti: lime&celadon (lo vedete nelle gallery)), mauve&brick, fragola&ciliegia.